Aggiornato al
20/06/11
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Nella
pagina di ciascuna classe sono disponibili i programmi svolti e i link agli
esercizi tipici
per gli alunni sospesi nel giudizio
(in fisica) ma anche per coloro che vogliono iniziare
il prossimo anno
scolastico avendo colmato tutte le carenze.
Pur se impegnati con lo
studio possiate godere del meritato riposo estivo: buona estate!!!
I BRAVI SIGNORI
Un signore di Scandicci
buttava le castagne e mangiava i ricci.
Un suo amico di Lastra a Signa
buttava i pinoli e mangiava la pigna.
Un suo cugino di Prato
mangiava la carta stagnola e buttava il cioccolato.
Tanta gente non lo sa
e dunque non se ne cruccia:
la vita la butta via
e mangia soltanto la buccia.
Gianni Rodari
Concentrarsi sull'apparenza,
sulla superficialità questa sembra essere l'accusa mossa ai "bravi
signori".
A me pare ancor più grave l'ignoranza
"Tanta gente non lo sa"
e la conseguente beota esistenza
"e
dunque non se ne cruccia"
che viene vissuta
da tanti "bravi signori".
L'ignoranza del singolo lo porta a
semplificarsi la vita e a non viverne il dramma e questo, per molte persone, è la salvezza
altrimenti potrebbero impazzire.
Ma se è vero questo
è altrettanto vero che tale meccanismo non può
essere la norma per una società: l'ignoranza e la conseguente beota
esistenza, se sono la salvezza del singolo individuo, segnano invece la
"morte" di una civiltà.
Altri s punti
di riflessione
Invictus
di William Ernest
Henley. Il titolo proviene dal latino e significa "invitto" ovvero "mai
sconfitto"
Perché si studia?
(Attenzione: se si scopre che il motivo non
c'è allora TUTTI A CASA.......)
A che serve la conoscenza (non ricorda "nati non foste ....")
Perché cosi tanti
risultati negativi nelle materie "scientifiche"?
E perché, nonostante siano gli stessi alunni, i risultati sono molto
positivi nelle materie "umanistiche"?
Eleonora:
Com’è possibile ridestare la voglia di studiare e cosa ha
risvegliato in te il gusto dello studio?
Bersanelli:
Intanto mi viene da osservare che la gente studia, cioè
gli esseri umani,
da quando esistono, a
differenza dei gatti, delle lucertole, dei fili d’erba si pongono il
problema dello studio; o meglio, non è che hanno il problema dello
studio, ma di fatto studiano,
si mettono in rapporto con la realtà in modo tale da
volerla conoscere.
Questo è un dato di fatto, è un fatto
tipico degli esseri umani, non degli altri organismi viventi. Ma perché
l’essere umano, e quindi ciascuno di noi, ha una tale natura, cioè è
fatto in modo tale da accorgersi delle cose? Ciascuno di noi si accorge
delle cose, ma non solo ce ne accorgiamo: c’è di più. Io faccio
l’astrofisico e noi costruiamo strumenti che in un certo senso "si
accorgono" delle cose molto meglio di noi, strumenti che mandiamo nello
spazio per "vedere" cose che noi non potremmo altrimenti vedere. Questi
strumenti scientifici "si accorgono", in un certo senso, delle cose. Ma
qual è la peculiarità dell’essere umano? Che non solo si accorge delle
cose, ma è attratto da esse:
nel rapporto con la realtà nasce la curiosità,
cioè una domanda a riguardo della natura dell’oggetto e del suo
significato. Cosa ci sta a fare questa bottiglia d’acqua qui? E già sono
avvantaggiato dal fatto che in questo caso capisco subito di che si
tratta: una bottiglia d’acqua. Ma se invece di una bottiglia d’acqua ci
fosse qui una bella cassettina di legno, io, incuriosito dal fatto che
c’è questa scatola, la studio: comincio a guardarla, mi domando cosa ci
sarà dentro; ci sarà una bomba (vogliono farmi fuori?!), oppure delle
caramelle, oppure non so, ci sarà dentro una bottiglia d’acqua?
Noi siamo fatti in modo tale che la
realtà suscita in noi una reazione, un desiderio di entrare in
rapporto con essa. Così capita al bambino, così è capitato a ciascuno di
noi quando era bambino: siamo stati introdotti a questo rapporto con
la realtà ben prima che si ponesse il problema dello studio in
quanto tale. Prima ancora della scuola, osservando i miei figli, mi
accorgevo che quando erano piccoli "studiavano" già la realtà.
La curiosità, essere ridestati alla
voglia di studiare, quindi, ha a che fare con questo punto molto
semplice: occorre che si risvegli una curiosità rispetto alla realtà.
Non c’è una terapia per questo, ma è chiaro che il punto è sviluppare
una curiosità rispetto a ciò che esiste, perché ciò che esiste non è mai
scontato o banale, ma ha sempre dentro un segreto: ciò che esiste ha
sempre dentro un segreto, un
punto di aggancio che interessa la persona umana.
«Studiare,
perché?»
Appunti da un incontro con Marco Bersanelli
Ma chi è Bersanelli?
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La conoscenza non è un’attività
fra le altre del soggetto umano, ma la forma stessa del suo rapporto con
la realtà.
«Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come
bruti, ma per seguir virtute e canoscenza»,
diceva Dante.
Spesso serpeggia una concezione
grottesca ed astratta della conoscenza che ne fa un’attività
professionale separata o addirittura contraria alla vitalità e al vigore
della vita, che si può eventualmente affiancare o sommare
all’esperienza, ma non è necessaria. Si tratta di un equivoco.
Senza
conoscenza non vi è nemmeno esperienza:
«La persona è
innanzitutto consapevolezza. Perciò quello che caratterizza l’esperienza
non è tanto il fare, lo stabilire rapporti con la realtà come fatto
meccanico (…)
Ciò che caratterizza l’esperienza è
il capire una cosa, lo scoprirne il senso.
L’esperienza
quindi implica intelligenza delle cose».
Conoscenza, giudizio, comprensione
del significato non sono un’aggiunta all’esperienza, ne sono un sinonimo
perfetto.
Affermare un’opposizione fra
conoscenza ed esperienza significa dunque ridurre la prima ad un
esercizio intellettualistico e la seconda ad una sommatoria di momenti,
di sensazioni, di impatti, di emozioni che qualcun altro (un intelletto
individuale o collettivo) provvederà poi a rivestire di un senso.
È un altro nome dell’alienazione,
della schiavitù più diffusa: quando ci si affida ai sentimenti, alle
emozioni, agli stati d’animo ci si consegna in verità non a se stessi,
bensì a chi governa – in vece nostra – reazioni e opinioni.
Possiamo vivere senza tante cose,
ma non possiamo vivere senza significato, senza verità, cioè senza
conoscere, perché la conoscenza è il rapporto col significato.
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Negli anni lo
studio della matematica al Liceo Scientifico si sta dimostrando
l’ostacolo maggiore per lo studente liceale, in genere a tale situazione
concorrono vari fattori:
-
lacune pregresse
che in matematica impediscono l’acquisizione di nuove competenze,
[infatti per determinare il
dominio di una funzione irrazionale (argomento di quinta liceo) devo
saper risolvere un sistema di disequazioni; per risolvere un sistema
di disequazioni (argomento di terza liceo) devo saper risolvere ogni
singola disequazione, se è di secondo grado devo risolvere
l'equazione di 2°grado associata; per controllare le soluzioni
dell'equazione associata applico il metodo somma-prodotto della
seconda liceo; per calcolare il delta devo calcolare il quadrato di
un numero e un prodotto fra tre fattori controllando il segno roba
da terza media e cosi via. Se uno solo di questi "tasselli" mi
risulta sconosciuto o in dubbio tutto il procedimento viene
rallentato o si inceppa del tutto]
-
interesse e impegno superficiali
che invece devono essere costanti e profondi per sostenere la fatica
dello studio (di fatica si tratta almeno inizialmente solo dopo
tanto lavoro la gratificazione sarà maggiore della fatica),
[come si può pretendere di agevolare
lo studio se l'attenzione in classe è limitata? se l'impegno nel
recepire quanto svolto viene "affidato" ad un solo canale ( il
famoso "o ascolto o scrivo")? appena si perde una virgola del
processo non si è più in grado di seguire, non sarebbe più efficace
mettere in stanby la parte mancante dandola per buona e riprendere i
fili del discorso alla fine? come può nascere un interesse se
l'esercizio affidato per casa viene appena guardato nel tentativo di
risoluzione e non analizzato, scomposto, affrontato da più
angolazioni? Se non si cambia rotta l'interesse si appanna perché ci
si ritaglia un ruolo da esecutori meccanici e non da protagonisti
attivi inoltre l'impegno, che non è sostenuto dai successi sperati,
pian piano si indebolisce fino a sparire (o spirare)]
-
metodo di studio inadeguato
[come già detto si mira
all'utilizzo di terminologia rabberciata, all'acquisizione di
concetti mnemonici, di tecniche da applicare in modo meccanico, di
"scorciatoie" operative dimenticando che queste materie necessitano
di conoscenza e precisione del linguaggio specifico (il nome è il
concetto), di acquisizione ragionata dei concetti, di comprensione
personale delle tecniche risolutive, di analisi del problema (solo
dopo una accurata disamina ci si avvia alla sua risoluzione)]
che congiunto ai fattori
precedenti conducono ad un continuo insuccesso ratificato da un
profitto insufficiente o non proporzionato allo sforzo profuso
(mentre “fatica” ha una accezione positiva, “sforzo” esprime
l’inutilità dello stress), tale esperienza di frustrazione induce
nell’alunno la strutturazione di un livello di scarsa autostima che
peggiora definitivamente il quadro della situazione e blocca
l’alunno nel cliché in cui si trova.
Un punto iniziale di “ripartenza” nel
triennio appare debbano essere le
strategie di apprendimento, forse
eccessivamente trascurate in precedenza, se ne richiede ora con urgenza
l’attivazione al fine di organizzare un
valido metodo di studio
corrispondente al proprio stile di apprendimento in modo da conseguire
quelle competenze cognitive e metacognitive necessarie per una
soddisfacente prosecuzione del curriculum scolastico ma soprattutto per
una armoniosa e serena realizzazione di uno dei principali obiettivi
dello sviluppo psicologico cioè quello di costruire un senso positivo di
autostima come parte integrante della identità personale.
In tutto questo appare urgente l’adeguato
livello di assunzione di responsabilità da parte dei protagonisti che in
apparenza sembrano essere docenti e discenti (si noti il plurale) ma
occorre ricordare e insistere sul ruolo della famiglia (si noti il
singolare) che focalizza e mantiene una
visione realistica delle potenzialità
dell’alunno
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